• E se il finanziamento pubblico fosse democratico?

    Tema di grande attualità, il finanziamento pubblico ai partiti sta invadendo buona parte della discussione post elettorale di queste settimane.
    Oggi Il Post ci delizia con due fitte pagine nelle quali è descritta l' intero iter legislativo della nascita del finanziamento pubblico, fino alle recentissime modifiche introdotte del Governo Monti.
    Il finanziamento pubblico ai partiti nasce ad opera della DC nel 1974 per limitare i condizionamenti degli ingenti fondi privati che alimentavano la macchina partitica durante gli anni della prima repubblica. Il progressivo amento dei costi della politica, e la conseguente necessità di reperire nuovi fondi,  aveva suscitato l' interesse delle grandi lobby, italiane e non, che vedevano nel sistema politico italiano un' ottima opportunità per la difesa dei propri interessi e un comodo mezzo per raggiungere i propri scopi.


    Come l' Italia anche la maggior parte dei paesi con alle spalle una solida tradizione democratica presentano strumenti di finanziamento pubblico o di rimborso per le spese elettorali sostenute come ci viene ben descritto da un recente studio dell’Institute for Democracy and Electoral Assistance (IDEA):
    Sono 96 i paesi che prevedono il finanziamento pubblico annuale (totale o parziale) dello Stato ai partiti, ossia circa il 44 per cento dei paesi del mondo ai quali dobbiamo aggiungere altri 56 paesi che prevedono fondi pubblici ai partiti in relazione alle spese sostenute in campagna elettorale, ossia il 26,4 per cento sul totale.
    Gli stati che non ricevano alcun tipo di finanziamento pubblico sono 55 (25,5%) gran parte dei quali
     gran parte dei quali sono situati in Asia (come India, Bangladesh, Libano, Singapore), in Africa (come Senegal, Mauritania, Sierra Leone), in centro e sud America (come Bolivia e Venezuela) e in alcune zone dell’Oceania. 

    La necessità di separare la politica dagli interessi privati deve rimanere una priorità che risulta essere minata dalla possibile abolizione del finanziamento pubblico.
    I costi della politica non sono solo meri costi di rappresentanza o di sanguinaria propaganda per strappare qualche centinaia di voti ma sono necessari al funzionamento di quell' apparato burocratico che forma e plasma le figure politiche alle quali affidiamo il futuro dell' Italia ad ogni tornata elettorale.
    In una società dove i partiti non sono semplici macchine elettorali ma fanno parte della struttura culturale e formativa l'abolizione dei rimborsi sembra essere una scelta che presenta delle esternalità negative e poco condivisibili.
    L' impalcatura democratica e la possibilità di impegnarsi in politica non possono essere messe in discussione dall' azzeramento di quei finanziamenti che offrono la possibilità ai candidati di essere indipendenti dalle pressioni di financer e supporter che spesso prediligono le grandi realtà partitiche a scapito del pluralismo, della trasparenza e delle competenze.

    Se il finanziamento pubblico è nato per rendere indipendente la sfera pubblica da quella privata è anche vero che la situazione attuale non è assolutamente sostenibile non tanto per le risorse che vengono investite, quanto per la scarsa regolamentazione a cui sono sottoposti i partiti.
    La necessità di introdurre una rigida certificazione esterna, per ora adottata solo dal PD,con un autentico rimborso spese rendicontato e certificato, risulta essere una soluzione che deve essere percorsa nel minor tempo possibile.
    Fonti: Il Post 
    Alberto Stefanelli